Jake Sully è un marine costretto su una sedia a rotelle che accetta di
trasferirsi sul pianeta Pandora (distante 44 anni luce dalla Terra) in
sostituzione del fratello morto. Costui era uno scienziato la cui
missione era quella di esplorare il pianeta mediante un avatar. Essendo
l’atmosfera del pianeta tossica per gli umani sono stati creati degli
esseri simili in tutto e per tutto ai nativi che possono essere
?guidati’ dall’umano che si trova al sicuro dentro la base. Pandora
però non è solo un luogo da studiare. È soprattutto un enorme
giacimento di un minerale prezioso per la Terra su cui la catastrofe
ecologica ha ridotto a zero le fonti di energia. Uomini d’affari avidi
e militari si trovano così uniti nel tentativo di spoliazione del
pianeta. C’è però un problema: gli indigeni Na’vi non hanno alcuna
intenzione di farsi colonizzare. Il compito iniziale dell’avatar di
Jake sarà quello di conoscerne usi e costumi e di farsi accettare
all’interno delle loro comunità. Sarà così in grado di riferire se sia
possibile sottometterli. Jake conosce così Neytiri, una guerriera Na’vi
figlia del capo tribù. Da lei impara a divenire un guerriero molto
diverso dal marine che è stato e se ne innamora ricambiato. Da quel
momento la sua visione dell’impresa cambia.
James Cameron è tornato e, ancora una volta, ha lanciato la sua sfida molto personale al mondo del cinema. Così come in Titanic, snobbato a torto dalla critica più vetero-conservatrice, anche in Avatar
decide di basare l’impresa su una sceneggiatura che a un primo sguardo
non può non apparire decisamente semplice (anche se chi ha fatto facili
e ironici riferimenti a Pocahontas
ha dimenticato che la giovane indiana d’America visse, nella sua storia
d’amore con John Rolfe, il percorso esattamente opposto a quello qui
narrato).
Cameron si rivela, proprio grazie agli stereotipi
narrativi di cui fa ampio uso, un vero autore. Potrebbe sembrare un
ossimoro ma non è così. Perché pesca citazioni a piene mani dalla
storia del cinema (non rinunciando, ad esempio, a citarsi richiamando
in servizio la Sigourney Weaver, un tempo Ripley, offrendole un’entrata
in scena provocatoria con sigaretta accesa o attingendo per il
personaggio di Tsu’tey al Vento nei Capelli di Balla coi lupi)
ma riesce a trasferirle nelle proprie ossessioni narrative. Che sono
quelle (tanto per citarne solo alcune) della scoperta di ?Nuovimondi’
da Abyss al già citato Titanic o del cosa significhi sentirsi alieno e sul cosa accade quando la prospettiva si rovescia.
Ma è soprattutto il mistero delle dinamiche organiche naturali e del
loro rapporto con la Scienza e con i suoi prodotti (siano essi macchine
come in Terminator
o corpi che sono al contempo un sé e un ?altro da sé’ come gli avatar)
che lo affascina. Non facendogli però dimenticare che al pubblico
(anche al più vasto, indispensabile per riassorbire gli enormi capitali
investiti e trarre un profitto) non è sufficiente offrire la tecnologia
più avanzata (che qui non manca). Non basta ?stupirlo’.
Anche se nel modo più accessibile è fondamentale suscitare un pensiero. In Titanic
ci si immergeva alla ricerca di un tesoro e se ne riportava invece una
traccia di memoria (il ritratto) che spingeva poi lo spettatore a
interrogarsi su una nave che diveniva, senza superflue sottolineature,
il simbolo della divisione in classi di una società. In Avatar,
pensato 15 anni fa ma realizzato negli ultimi 4, la recente lezione
della guerra in Iraq lascia le sue tracce profonde. Ancor più del
discorso ecologico che sottende tutto il film (con la sua visione di
un’energia panica da rispettare) è quello sulla facile etichettatura di
nemici applicabile a coloro che posseggono le fonti energetiche che
abbisognano ai più forti che maggiormente segna la narrazione. È storia
di sempre, si dirà, già vista (al cinema) e sentita. Ma ci vogliono
registi capaci di osare, consapevoli che tutte le storie sono già state
narrate ma che alcune meritano di essere ribadite con tutta la forza
della spettacolarità che è possibile mettere in campo.
Avatar
non sarà il film che rivoluzionerà la storia del cinema ma Cameron
merita rispetto e ammirazione. Sa perché e su quali temi rischiare, in
un’epoca in cui la grande maggioranza cerca l’incasso sicuro. Onore al
merito.